HK = [ Faqs ] [ Archive ] [ Community ] [ Map ] [ Search ] [ Link ] = HK
[ Newsletter ] [ MailingList ] [ Blog ] [ Updates ] [ News ]
     
 
Torna al Pun-K-Menu

CYBERPUNK E HACKER
PER UN APPROCCIO DIVERSO ALLE TECNOLOGIE INFORMATIVE
by Ameleto Cascio

[Ricerca realizzata per l'esame del Corso di Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa
(prof. Pier Luigi Capucci), DAMS, Università di Bologna, A.A. 2002/2003

Alla base del cyberpunk e dell’hacker vi è l’affermazione di un approccio diverso rispetto al potere da sempre rappresentato dalla tecnologia. Un approccio non demonizzante e il più possibile legato a esigenze sociali e collettive di utilizzo, reagendo all’impoverimento comunicativo che sembra caratterizzare l’era del villaggio globale.

Introduzione

In questa tesina ho voluto focalizzare l’attenzione sul bisogno, sempre più incombente, di una visione alternativa, diversa, della tecnologia, in particolar modo delle tecnologie informative. Un approccio libero, non vincolato dalle grandi multinazionali del settore, dagli interessi politici, militari o economici. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che oltre ad usi civili delle tecnologie cibernetiche esiste un esteso ricorso a sofisticate macchine futuribili nel settore militare; molte tecnologie sono nate proprio dalla ricerca militare e spaziale. La Nasa è all’avanguardia con le sue ricerche sul ciberspazio, lo spazio virtuale; così come vanno ricordati i grandi investimenti per jet ultrasonici o per l’attrezzatura elettronica che ad esempio è stata dispiegata nel Golfo Persico, per i robomarines, ecc. Ci sono poteri forti che dominano e orientano i media e le risorse tecnologiche.

Un nuovo approccio con le tecnologie richiede, quindi, una visione che non sia apocalittica (teorizzando solo l’orrore delle scoperte tecnologiche), né integrato (accettando stupidamente la logiche dell’impresa capitalistica). Per questo motivo il percorso di questa tesina si incentra sui concetti di cyberpunk e di hacker, termini che, in un certo qual modo, si corrispondono. Due movimenti, il primo letterario e politico, il secondo un movimento che mette in pratica le premesse politiche del cyberpunk, che rivisitano le portate delle tecnologie in una chiave democratizzante, sociale, tesa alla divulgazione globale delle nuove risorse, e quindi dell’informazione.

Il Cyberpunk

1. Il movimento 2. La macchina
3. Il mondo del cyberpunk 4. La realtà virtuale
5. Cyberpunk e politica


[ Top ]

1. Il movimento

Che cos’è il cyberpunk? E’ una domanda questa a cui è difficile dare una risposta univoca, in quanto il termine denota ormai sia un aspetto letterario che un ambito politico. All’inizio questa definizione indicava un variegato movimento di fantascienza composto da persone per lo più giovani di età che ha attraversato gli anni Ottanta. Sono scrittori quindi che hanno vissuto un rapporto intimo con la tecnologia; per la prima volta nella storia della letteratura tale rapporto con la macchina non viene visto come una dimensione negativa. Il cyber presuppone un nuovo rapporto con la tecnologia che permette, difatti, l’estensione delle capacità dell’uomo e finalmente il superamento dei suoi limiti.


Decoder, rivista italiana cyberpunk

La tecnologia non è la gigantesca meraviglia, sbuffante vapore, del passato: l’arcaica madre Hoover, l’Empire State Building, gli stabilimenti ad energia nucleare. La tecnologia si conficca nella pelle, risponde al tocco: il personal computer, il Walkman, il telefono portatile, le lenti a contatto di tipo morbido. Certi temi centrali emergono di continuo nel cyberpunk; il tema dell’invasione corporea: membra artificiali, circuiti trapiantati, chirurgia cosmetica, alterazione genetica; e l’ancora più potente tema dell’invasione mentale: l’interfaccia cervello-computer, l’intelligenza artificiale, la neurochimica. Tutte tecniche queste che ridefiniscono la natura umana. Della letteratura cyberpunk dà una definizione interessante la rivista Decoder: “Possiamo definirla come la fantascienza radicale degli anni Novanta, una corrente che da pochi anni sta svecchiando e ribaltando gli schemi dell’ormai vetusta fantascienza classica, quella alla Asimov.” [1] Tutti questi scrittori nutrono, quindi, un debito da una parte verso il tradizionale filone della fantascienza, quella alla Asimov, appunto, ma dall’altra anche verso tutti quei movimenti giovanili di resistenza che hanno contrassegnato la storia dagli anni Sessanta in avanti, movimenti che hanno sempre avuto un rapporto intenso con le tecnologie, con gli strumenti elettrici, con la produzione di musica e degli effetti speciali. Sterling richiama, infatti, il debito dovuto nei confronti dell’esperienza punk: “Il cyberpunk è un liberare la fantascienza stessa dall’influenza principale, così come il punk svestì il rock and roll dalla sinfonica eleganza del progressive rock degli anni Settanta. Come la musica punk, il cyberpunk è in un certo senso un ritorno alle radici.”

Allucinazioni utopiche degli anni Sessanta, disperazione rabbiosa del punk ed infine tecnologie cibernetiche: questi sono i segni principali della genesi storica del cyberpunk. Coloro che vengono identificati come protagonisti di questo movimento non ammettono di farne parte, respingono l’etichetta. Il caposcuola del cybepunk viene identificato in William Gibson, che scrive nel 1984 il romanzo Neuromancer, pubblicato in Italia come Negromante. Il 1984 è allora la data di nascita del cyberpunk. Altri precursori o maestri del cyberpunk sono Philip K. Dick, James G. Ballard, Bruce Sterling, ecc. In breve il movimento incomincia a riconoscere i propri “parenti” nel cinema, nella musica, nell’arte, nelle riviste di area, nei fumetti; in più sedi si sviluppano esperienze che si collegano tra loro nel riferimento al cyberpunk.

[ Top ]

2. La Macchina

Uno dei punti fondamentali del mondo futuro del cyberpunk sta nell’intreccio tra l’uomo e la macchina. Si afferma e sopravvive solo chi è capace di usare le macchine in tutti i modi (ecco perché c’è il gusto della pirateria, dell’hacker). Nella società futura descritta il rapporto tra l’uomo e la macchina è spinto fino alle sue estreme conseguenze. Gli stessi emarginati che non si riconoscono nel sistema futuro, i pirati, coloro che vivono ai “margini”, sono però pienamente legati alle nuove tecnologie, ai computer.

C’è il massimo d’intreccio tra l’artificiale e il corporeo nell’epoca immaginata dal cyberpunk. Le macchine si tramutano in vere e proprie estensioni del corpo, creando una continuità tra l’uomo e lo strumento tecnologico. Diventano protesi del corpo umano e ad esse i personaggi di questa letteratura si collegano non soltanto battendo con le dita su una tastiera, ma addirittura inserendo dentro il proprio stesso corpo fisico i cavi del computer, fino ad entrare direttamente ‘dentro’ alla macchina; i personaggi la fanno entrare dentro alla loro pelle e alla loro carne, e a propria volta entrano nella macchina, nei suoi circuiti, nella sua matrice. Se nella fantascienza ciò che conta è guardare, nel cyberpunk ciò che conta è sentire. Infatti, il cyberpunk, parla continuamente di collegamenti sensoriali: è di nuovo un ritorno al corpo, ad un corpo umano, non meccanico.

3. Il mondo del cyberpunk

Le storie si svolgono in un futuro prossimo, ma descrivono un mondo in cui già viviamo, un mondo tecnologicizzato in cui la presenza del computer è sempre maggiore. Questo stile pone al centro delle proprie trame dei personaggi che sono completamente “altro” rispetto alla tradizione letteraria: essi non sono i potenti del futuro o gli eroi classici delle vicende d’azione fantascientifiche, ma perdenti, sbandati, emarginati, pazzi, prostitute, biscazzieri, punk, trafficanti, ladri, hackers, pirati informatici, balordi di strada con poca o nessuna voglia di lavorare, immersi solamente in ciò che produce gioia. Si legge ancora su Decoder: “Il personaggio del cyberpunk è un mutante iperattrezzato alla sopravvivenza nel nuovo habitat decisamente superiore al vecchio sapiens sapiens e si muove alla conquista dei propri obbiettivi contro tutto e tutti, nichilista e solo, senza verità da dare o da cercare, ma intento solo alla soddisfazione delle proprie necessità.” [2] I personaggi vivono in una società dominata da grandi corporazioni multinazionali, che hanno al loro servizio schiere di killer e che interagiscono ed entrano in conflitto con le prepotenze dei capi mafiosi. Scrivono Graziano Braschi e Antonio Bruschini: “Un mondo torbido e piovoso, ricco di un sottobosco intricato e miscelato di umani, mutanti e cyborg. Un mondo di traffici (di tutto: droga, organi umani, high tech, sesso, sentimenti), di ricchezza e miseria contrapposte e intersecate, di mafia.” [3] E in questo mondo i protagonisti sono molto caratterizzati da ciò che indossano e ciò che “evidenziano” di sé. I luoghi delle avventure cyberpunk sono due: accanto allo spazio virtuale vi è lo spazio reale delle metropoli, degradate in un futuro che peggiora i trend attuali, e sempre simili alle città violente dei film neri degli anni Quaranta. L’immaginario cyberpunk è infatti pienamente un immaginario urbano, nutrito del gusto estetico di film come Blade Runner.


Immagine tratta dal film Bladerunner

Cult-movie degli anni Ottanta, più per il pubblico europeo che per quello statunitense, presenta il nuovo volto della fantascienza: un volto “sporco” da bassifondi del postmodern. L’eroe del cyberpunk deve quindi affrontare i pericoli di una società violenta e deve inoltre sapersi muovere in uno spazio virtuale sempre più praticato. Egli non è, però, solo un avventuriero cinico e disincantato. Viaggiare nel cyberspazio consente anche un’esperienza mistica. Non a caso tra i personaggi reali che costituiscono una sorta di “culto” per il movimento cyberpunk vi sono i vati della psichedelia. Tra questi Timothy Leary, capo a suo tempo degli hippy americani come teorico dell’LSD e poi diventato esponente del movimento cibernetico all’americana.

[ Top ]

4. La realtà virtuale

Particolare importanza assume così il concetto di realtà virtuale per l’uomo del cyberpunk, che vive dunque in un nuovo contesto, in un nuovo habitat.


Ragazzo alle prese con strumentazioni cyber

Realtà virtuale di un soggiorno

Il pirata-hacker si muove ormai in un nuovo spazio e viaggia in nuovi mondi collegandosi semplicemente ad un computer. La realtà virtuale è un sistema che produce una rappresentazione verosimile, polisensoriale e interattiva in tempo reale. Si può entrare, percependolo polisensorialmente, in un ambiente simulato e interagire con esso e con gli oggetti, manipolandoli come accade nei sogni, grazie a tecniche di simulazione che consentono una fruizione spaziale, visuale, acustica, tattile. Sono già esistenti i caschi e i guanti da indossare che permettono di entrare in contatto “fisico” con oggetti irreali, presenti solo nello schermo del computer. Si può indossare un Data-Glove (Guanto-dati) che possiede sensori lungo ogni dito e intorno al palmo della mano e raggiungere, vedere, toccare e prendere in mano un apparente oggetto in una realtà immaginaria, virtuale, in tre dimensioni.

Il mondo virtuale non è il vero mondo, non riproduce la realtà, ma una vera e propria irrealtà: è un mondo in cui non esistono limiti ai movimenti possibili, a differenza del mondo reale. Timothy Leary considera le realtà virtuali in maniera molto positiva, soffermandosi sull’enorme campo progettuale che essa aprirà. Ognuno, grazie alle strumentazioni cyber (Data-Glove, occhialoni, tuta cyber) sarà collegato in tempo reale con tutte le banche dati del mondo, provenienti da molte fonti diverse. Si potranno, nel cyber mondo, tenere competizioni, scambi, partite a scacchi, progetti di ricerca. Si avranno modelli di una sala di un ristorante, di una pista da ballo di una discoteca, di un soggiorno, della capsula interna di una navicella spaziale, ecc. La ricerca di Leary è rivolta alla gestione democratica del dato e quindi al ridimensionamento del ruolo strategico, alla decentralizzazione, alla tolleranza delle differenze.

5. Cyberpunk e politica

Da fenomeno letterario, il cyberpunk, diventa così fenomeno dalle valenze anche politiche. Questo movimento accetta gli strumenti tecnologici criticamente per intraprendere un discorso controculturale, alternativo o addirittura antagonista a quello ufficiale dei media della comunicazione, attuando una “controcultura mediale” dove sono presenti elementi di misticismo, utopici, ecologici, etici. Sono per uno scambio di informazioni illimitato e non controllato, a disposizione di tutti, libero e trasparente, senza alcun ostacolo politico, economico, tecnico, militare.

Il cyberpunk europeo rende cosciente quell’approccio “antisistema” presente nelle imprese di alcuni eroi cyberpunk realmente esistiti, come l’americano John Draper, che finì anche in galera per le sue attività, e come tutti coloro che anni fa praticavano le interferenze nelle televisioni. Per definire meglio gli itinerari politici del cyberpunk hanno avuto luogo una serie di convention e conferenze in cui si sono confrontati esponenti cyberpunk vicini ai movimenti alternativi. Una delle più importanti è stata la Conferenza internazionale per l’uso alternativo delle tecnologie (ICATA), del 1989. In una dichiarazione programmatica finale della conferenza si proponeva la necessità di “produrre caos, rumore e spreco” dentro il modello ordinato voluto dalle grandi multinazionali dell’informatica.

Appare evidente che i cyberpunk italiani si ricollegano a un filone politico molto esplicito e caratterizzato chiaramente “a sinistra”. L’hacker di movimento diventa il modello trasgressivo da imitare. Antonio Caronia descrive i collegamenti tra il percorso letterario, di costume, ed infine politico del cyberpunk: “Se dal punto di vista letterario il cyberpunk appare un episodio rilevante del romanzo postmoderno, se dal punto di vista del costume risente dello sviluppo e della diffusione delle nuove tecnologie, dal punto di vista sociale e politico esso è forse l’avvisaglia di una nuova fase di radicalismo.” [4]

Note

1) “Cyberpunk”, in Decoder, n. 5, 1990. [back]

2) “Cyberpunk”, cit. [back]

3) G. Braschi, A. Bruschini, “Computer, cyborg e cyberpunk”, in Nosferatu, n. 10, maggio 1991. [back]

4) A. Caronia, “I cowboy del computer”, L’Europeo, 4 agosto 1990. [back]

 

[ Top ]

Il Cyberpunk

1. Le origini 2. Pratiche di hackeraggio
3. Dichiarazione finale dell’ICATA 89

1. Le origini

I cyberpunk provengono dai più diversi “giri”; oltre a quelli che provengono dalle esperienze psichedeliche degli anni ’60, oltre ai giovani che hanno sviluppato il cyberspace e altre tecnologie e oltre ad altri gruppi, vi sono gli hacker, che nutrono un culto spasmodico per la fantascienza e che si identificano con gli eroi cyberpunk. Hacker, secondo Meyer, è la definizione per un freak al computer che, tramite il suo personal computer trova collegamenti o cerca accessi con le banche dati. La parola venne usata per la prima volta al MIT di Boston dove all’inizio degli anni Sessanta, venivano definiti con hackers coloro che, con astute strategie, riuscivano a trovare accesso al calcolatore della scuola, allora riservato ai soli professori universitari. La definizione più interessante ci viene da Rainer Fabian, un giornalista tedesco, il quale fa questa osservazione: gli hacker, contrariamente al borghese si sono ribellati. Infatti si sono resi conto che il potere è strettamente legato alla tecnologia, cosa questa che i borghesi tendono a ignorare o a nascondere. Inoltre il borghese è caratterizzato da una profonda ignoranza per quanto riguarda gli aspetti più profondi del rapporto tra tecnologia e potere. Gli hackers si presero, per così dire, una rivincita nei confronti delle istituzioni senza volto che si nascondono dietro ai sistemi. In questo agire svilupparono un’etica, che è l’unica che si sia sviluppata nell’era del computer e che si basa su alcuni principi come l’illimitatezza e l’onnicomprensività dell’accesso al computer e al sapere, la gratuità delle informazioni, la decentralizzazione dell’autorità. Il credo delle loro convinzioni può essere sintetizzato nella frase: “Le informazioni dovrebbero essere libere. La tecnologia informativa deve essere a disposizione di ognuno”.

2. Pratiche di hackeraggio

 

 


John T. Draper

John T. Draper, alias Captain Crunch, fu uno dei primi a mettere in pratica l’etica hacker. Egli scoprì che con un semplice fischietto era possibile effettuare telefonate, anche intercontinentali, senza pagare niente. Immediatamente comunicata l’incredibile scoperta, attorno a Crunch in poco tempo si aggregò un discreto gruppo di pirati telefonici, che iniziarono sempre più a diffondere questo tipo di pratica. I fischietti vennero ben presto sostituiti da macchine più professionali chiamate Blue Boxes, piccoli apparecchi elettronici che avevano la funzione di “fregare” il contascatti. Una pratica, questa del pirataggio telefonico, chiamata phone phreaking e che può essere considerata come un primo passo verso il pirataggio informatico.

Come John Draper anche Richard Cheshire è una leggenda vivente. Cheshire, soprannominato Catalyst, catalizzatore, ha hackerato nelle reti telefoniche e poi via satellite mandando telex in tutto il mondo. Più tardi quando le reti di computer cominciarono ad aumentare di numero ed entrarono nel mercato i primi personal, egli divenne editore di un servizio di informazione per hacker che chiamò TAP (Technological Assistance Program, ma anche Technological American Party), in cui dimostrò cosa significa libera informazione. Cheshire spiegava come fare le bottiglie molotov, come falsificare i documenti di nascita, come inserirsi nelle banche dati militari. Egli pubblicava anche numeri di telefono segreti, tra i quali quelli del Cremlino, istruzioni per congegni su come sabotare i computer e dritte su come si forzano gli ingressi nei sistemi dei calcolatori. Lo scopo fondamentale che Cheshire e quindi TAP si prefiggevano era la diffusione e la distribuzione libera alle masse del sapere tecnologico e computerizzato. Quindi una democratizzazione del sapere cibernetico.

Soprattutto a partire dagli anni Settanta la pratica dell’hackeraggio cominciò a diffondersi estesamente, fino ad intervenire in maniera decisiva nello stesso fenomeno Silicon Valley, regione nella quale si è concentrata in pochi anni tutta la produzione industriale americana legata alla componentistica e alla progettazione del fenomeno computer. La Apple, la casa che ha sfornato il primo home computer è stata fondata proprio da due hackers: Steve Jobs e Steve Wozniak.

Da una parte quindi sabotatori dell’informazione, ma dall’altra innovatori nello sviluppo della merce immateriale, nuovo campo di dominio del capitale. Nel breve periodo successivo la pratica dell’hackeraggio viene quindi sopportata dalle grandi multinazionali del settore, che assumono i migliori tra gli hacker per mettere a punto sempre più sofisticate barriere di ingresso alle banche dati. Negli anni Ottanta il fenomeno in America ha subito un forte processo di polverizzazione. Difatti aumentarono le dure condanne nei confronti di coloro che venivano individuati, con normative penali sempre più rigide. L’hackeraggio oggi è sempre più praticato da ragazzini anche di dieci o dodici anni, a danno di reti e grosse banche dati. Nel 1983 un gruppo di Milwaukee riuscì ad hackerare tra le altre cose la Security Pacific Bank di Los Angeles e il laboratorio di armi atomiche di Los Alamos. In quelle avventure di hackeraggio, quei ragazzi non erano però interessati a rubare i dati segreti o a distruggere determinati sistemi: per loro era semplicemente un passatempo o una sfida intellettuale.

Tra gli hacker degli anni Sessanta-Settanta emerge sempre più la figura di Lee Felseinstein, uno dei più coscienti teorici della necessità di passare a una concezione positiva del computer. Egli in sostanza afferma che la pratica dell’hackeraggio ha valore oggi solo per dimostrare alle grandi multinazionali che è impossibile per loro credere di poter monopolizzare tutte le informazioni. Il computer è uno strumento democratico, aperto all’utilizzo di tutti. L’hackeraggio serve quindi a dimostrare nei fatti questa impossibilità. L’intento di Felseinstein è quindi mirato alla costruzione di un’etica specificatamente hacker, che guidi l’azione di ogni gruppo nella propria pratica. In questo senso si sta oggi impegnando, lavorando nell’organizzazione di convegni e conferenze che tentino di focalizzare sempre più l’obbiettivo di una società dove la macchina venga messa al servizio dell’uomo e della sua liberazione.

[ Top ]

3. Dichiarazione finale dell’ICATA 89

Una delle più importanti conferenze tenutasi nell’agosto 1989 è l’International Conference on the Alternative use of Technology, ICATA, conferenza già citata. Nella dichiarazione programmatica finale dell’ICATA l'intera scena hacker internazionale ha concordato su alcuni principi base. Questo incontro di esperti informatici, provenienti da una dozzina di paesi diversi, ha deciso di riaffermare la necessità di un’etica di libertà e di democrazia nel processo di informatizzazione della società e di confrontare le pratiche e gli obiettivi degli hacker di fronte alla repressione, con l’intento, appunto, di “eliminare l’immagine negativa che ha sempre accompagnato l’attività degli hacker”.

La pratica dell'hackeraggio viene vista come necessaria per infrangere il monopolio statale e delle multinazionali sull'informazione. Nella dichiarazione si legge: “Noi, cittadini planetari e partecipanti alla FESTA GALATTICA DEGLI HACKERS e dell'ICATA 89 ad Amsterdam, abbiamo confrontato, durante tre giorni, le nostre idee, le nostre esperienze, le nostre speranze e rispettivi scopi per l'avvenire. Profondamente turbati dalla prospettiva di una tecnologia dell'informazione e degli attori economici e politici scatenati da essa, senza controllo democratico né partecipazione popolare efficace, noi abbiamo risoluto che:

1) Lo scambio libero e senza alcun ostacolo dell'informazione sia un elemento essenziale delle nostre libertà fondamentali e debba essere sostenuto in ogni circostanza. La tecnologia dell'informazione deve essere a disposizione di tutti e nessuna considerazione di natura politica, economica o tecnica debba impedire l'esercizio di questo diritto.

2) Tutta intera la popolazione debba poter controllare, in ogni momento, i poteri del governo; la tecnologia dell'informazione deve allargare e non ridurre l'estensione di questo diritto.

3) L'informazione appartiene a tutto il mondo, essa è prodotta per tutto il mondo. Gli informatici, scientifici e tecnici, sono al servizio di tutti noi. Non bisogna permettere loro di restare una casta di tecnocrati privilegiati, senza che questi debbano rendere conto a nessuno del loro operato.

4) Il diritto all'informazione si unisce al diritto di scegliere il vettore di questa informazione. Nessun modello unico di informatizzazione deve essere imposto a un individuo, una comunità o a una nazione qualsiasi. In particolare, bisogna resistere alla pressione esercitata dalle tecnologie “avanzate” ma non convenienti. Al loro posto, bisogna sviluppare dei metodi e degli equipaggiamenti che permettano una migliore convivialità, a prezzi e domanda ridotti.

5) La nostra preoccupazione più forte è la protezione delle libertà fondamentali; noi quindi domandiamo che nessuna informazione di natura privata sia stockata, né ricercata tramite mezzi elettronici senza accordo esplicito da parte della persona interessata. Il nostro obiettivo è di rendere liberamente accessibile i dati pubblici, proteggere senza incertezze i dati privati. Bisogna sviluppare delle norme in questo senso, insieme agli organismi e alle persone interessati.

6) Ogni informazione non consensuale deve essere bandita dal campo dell'informatica. Sia i dati che le reti devono avere libertà d'accesso. La repressione dei pirati deve divenire senza fondamento, alla maniera dei servizi segreti.
Parallelamente domandiamo che tutte le legislazioni, in progetto o già in applicazione, rivolte contro i pirati e che non perseguono scopi criminali o commerciali, siano ritirati immediatamente.

7) L'informatica non deve essere utilizzata dai governi e dalle grandi imprese per controllare e opprimere tutto il mondo. Al contrario, essa deve essere utilizzata come puro strumento di emancipazione, di progresso, di formazione e di piacere. Al contempo, l'influenza delle istituzioni militari sull'informatica e la scienza in generale deve cessare. Bisogna che sia riconosciuto il diritto d'avere delle connessioni senza alcuna restrizione con tutte le reti e servizi internazionali di comunicazione di dati, senza interventi e controlli di qualsiasi sorta. Bisogna stabilire dei tetti di spesa, per paese, per avere accesso a questi vettori di comunicazione di dati pubblici e privati. Si deve facilitare quei paesi senza una buona infrastruttura di telecomunicazione e la loro partecipazione nella struttura mondiale. Noi ci indirizziamo agli utilizzatori progressisti di tecnologie di informazione nel mondo affinché socializzino le loro conoscenze e specializzazioni in questo campo con delle organizzazioni di base, al fine di rendere possibile uno scambio internazionale e interdisciplinare di idee e informazioni tramite delle reti internazionali.

8) Ogni informazione è al contempo deformazione. Il diritto all'informazione è al contempo inseparabilmente legato al diritto alla deformazione, che appartiene a tutto il mondo. Più si produce informazione, e più si crea un caos di informazione sfociante sempre più in rumore. La distruzione dell'informazione come del resto la sua produzione, è il diritto inalienabile di ognuno.

9) Bisognerebbe sovvertire i canali regolamentari e convenzionali dell'informazione grazie a dei detournaments e dei cambiamenti surrealisti degli avvenimenti, al fine di produrre del caos, del rumore, dello spreco i quali, a loro volta, saranno considerati come portatori di informazione.

10) La libertà di stampa deve applicarsi anche alle pubblicazioni tecno-anarchiche, che appaiono in giro, per reclamare la liberazione dei popoli, la fine delle tirannie della macchina e del sistema sugli uomini.” [5]

Note

5) “Dichiarazione finale dell’ICATA 89”. Adottata il 4/8/89, Terminal, n. 47, 1989, Parigi.

[ Top ]

Considerazioni finali

Nel denunciare la centralizzazione dei canali d’informazione e nel reclamare una libertà di accesso alle reti, ICATA 89 ha fatto sicuramente un’utile operazione. Alla base quindi del cyberpunk e dell’hacker vi è l’affermazione di un approccio diverso rispetto al potere da sempre rappresentato dalla tecnologia. Un approccio non demonizzante e il più possibile legato a esigenze sociali e collettive di utilizzo, reagendo all’impoverimento comunicativo che sembra caratterizzare l’era del villaggio globale.

Alla società dello spettacolo e della deprivazione comunicativa bisogna quindi rispondere con l’individuazione del terreno di lotta sul diritto della comunicazione. Dobbiamo appropriarci del nuovo diritto umano di portare avanti uno scambio di informazioni non controllate, senza limiti e a livello mondiale. L’informazione, per essere concreta, reale, deve avere con sé anche un senso sociale. Il modo migliore per promuovere il libero scambio delle informazioni è avere sistemi aperti, qualcosa che non crei barriere tra un hacker e un'informazione, o un dispositivo di cui egli possa servirsi nella sua ricerca di conoscenza. L'ultima cosa di cui c'è bisogno è la burocrazia. Questa, che sia industriale, governativa o universitaria è un sistema imperfetto, ed è pericolosa perché è inconciliabile con lo spirito di ricerca dei veri hacker. I burocrati si nascondono dietro regole arbitrarie, si appellano a quelle norme per rafforzare il proprio potere e percepiscono l'impulso costruttivo degli hacker come una minaccia.

Essenziale appare oggi, quindi, il condurre una battaglia per il diritto all’informazione, tramite la costruzione di reti alternative sempre più ramificate. Questa è una lotta che può essere vinta, tenendo conto che lo stesso capitale non può fermare, per ragioni di opportunità politica, un movimento economico intrinseco al suo stesso progredire. Il computer è uno strumento potenzialmente estremamente democratico, l’importante è acquisirne la consapevolezza a livello collettivo.

La letteratura cyberpunk sembra essere un ottimo cavallo di Troia, buono per interessare quei settori attigui, oggi non ancora coinvolti, che gravitano nelle orbite più lontane dal movimento. Oggi, tramite il cyberpunk, si offre l’opportunità a tutti gli operatori culturali e di movimento di aprire un nuovo enorme campo di produzione di immaginario collettivo, capace di liberarsi dalla cappa immaginativa esistente dalla quale da più tempo si è compressi. L’immaginario cyberpunk, in un certo senso, non è fantascienza ma realtà, il presente descritto in maniera un po’ particolare. I temi ispiratori del cyberpunk appartengono per storia, evocazioni e fascinazioni future ai movimenti controculturali. Bisogna collettivamente riappropriarsene. Potrebbe essere questa la risposta da offrire al paradosso comunicativo che caratterizza la fase attuale della società: un mondo molto mediatico, ma anche molto povero quanto a comunicazione reale.

Bibliografia e sitografia

Fabio Giovannini, Cyberpunk e splatterpunk: guida a due culture di fine millennio, Roma, Datanews, 1992.

Raffaele Scelsi (a cura di), Cyberpunk: antologia di testi politici, Milano, Shake Edizioni, 1990.

Franco Berardi (Bifo) (a cura di), Cancel & più cyber che punk, Bologna, Synergon, 1992.

Pier Luigi Capucci, Realtà del virtuale. Rappresentazioni tecnologiche, comunicazione, arte, Bologna,CLUEB, 1993.

Sitografia

www.strano.net/wd/cr/cr001.htm

www.decoder.it

[ Top ]

Released By DaMe`
Visits [1445082]