la disseminazione
del sapere collettivo nello spazio quotidiano degli artefatti.
e con le teorie sul decentramento del senso attraverso
le teorie su:
gli ipertesti
(Bush, Nelson, Berners Lee) e l’evoluzione dell’enciclopedia illuminista
nel web.
il rizoma
(Deleuze e Guattari)
e la progettazione in parallelo che si sviluppava nelle reti
neurali e nel connessionismo.
Alla critica dei modelli culturali di legittimazione
del potere (Foucault e la teoria del controllo sociale)
corrisponde una guerra dei segni di cui le strategie del falso
sono uno dei suoi aspetti. Vedi ad esempio le false testate di quotidiani
negli anni Settanta (Il Male), i seminari e le ricerche dei semiologi
a Bologna negli anni Settanta, il plagiarismo, o le operazioni
sul nome collettivo Karen Eliot e Luther Blisset.
Ma la guerra dei segni si è sviluppata
anche attraverso forme di arte urbana (vedi ad esempio Fekner)
e nel movimento dei graffiti, o attraverso forme di hackeraggio
dell’etere (vedi ad esempio Clarke).
La guerra semiotica ha avuto un risvolto
recente in rete con le operazioni di:
Defacement
(il deturnamento in rete, ovvero la sostituzione del contenuto
di un sito web con un altro contenuto, spesso di carattere antagonista)
Fake
(il deturnamento analogico, ovvero la sostituzione del contenuto
di cartelloni pubblicitari fatta ad esempio dal gruppo Bilboard Liberation
Front e dall’area di Adbuster)
Digital
Hijacking
(il rapimento o dirottamento virtuale dell’utente. Il
motore di ricerca risponde ad una parola chiave dirottandolo su un sito
che contiene contenuti ben differenti, spesso antagonisti, da quelli relativi
all’argomento richiesto dall’utente. Vedi il gruppo Etoy)
Cybersquatting
(la creazione di un dominio simile a quello di un altro sito,
che contiene una rappresentazione visiva simile a quella delle pagine
dell’altro sito, ma i cui contenuti sono diversi in dei punti fondamentali.
Vedi il gruppo ®t Mark)
Queste ultime operazioni hanno in comune la
messa in discussione del senso dominante. Fanno controinformazione
non solo fornendo punti di vista differenti sullo stato delle cose,
ma mettendo anche in crisi la legittimazione e l’autorità dei media
ufficiali. Esportano scetticismo, instillano un dubbio
nella coscienza, producono senso non autorizzato.
L’obiettivo infine di dare voce ai senza
voce, di restituire a chiunque libertà creativa ed autonomia di espressione
è stato un assunto che ha attraversato moltissime esperienze dell’attivismo
in rete:
dalle
prime comunità virtuali.
Alle reti
di BBS.
Al cyberpunk
(vedi in Italia il gruppo Decoder)
Alle esperienze
dei netstrike nati in Italia nel 1995 grazie a Strano Network
e poi diffusi in seguito in tutto il mondo.
Fino alle
esperienze dei cosiddetti media indipendenti che nella telematica hanno
avuto in Europa un punto di riferimento nell’European Counter Network
nella seconda metà degli anni Ottanta e quì in Italia nella rete di
BBS Cybernet, per arrivare nella seconda metà degli anni Novanta
alle esperienze di Isole nella Rete, al recente Indymedia
e a molti altri ancora.
Tutte le esperienze descritte fino ad ora
condividono buona parte degli assunti base dell’etica hacker. Un’etica
che ha origini millenarie e che ha ispirato le pratiche che si riconoscono
nel termine hacktivism. Un'etica che è alla base di questi
hackmeeting.
E’ impossibile narrare in un libro, e tanto meno in un intervento,
le innumerevoli esperienze di gruppi ed individui che si sono fatti portatori
dell’etica hacker e dell’hacktivism.
L’hacktivism è un’attitudine...
...molto più diffusa di quanto non si creda!
Approfondisci il tema leggendo:
"Hacktivism.
La libertà nelle maglie della rete"
realizzato da A. Di Corinto e T. Tozzi, ManifestoLibri, 2002.