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KNOWLEDGE MANAGEMENT NELLA CONTROCULTURA HACKER di Daniel Peiser

Nell’era della comunicazione gli hacker propongono un cambiamento nell’organizzazione degli spazi-tempi del quotidiano, mettendo in questione la concezione della vita nella società contemporanea e rivoluzionando l’approccio all’apprendimento ed al problem solving attraverso uno stile cognitivo, che è frutto del progresso tecnologico e delle profonde trasformazioni sociali in atto.

Maghi del computer, programmatori senza scrupoli capaci di violare sistemi informatici protetti e di minacciare la sicurezza di aziende e governi, pirati informatici: sono queste le figure evocate dalla parola hacker.
E’ forse anche per merito della diffusione di Internet, ed alla possibilità di accedere a molteplici fonti di informazione, che l’opinione pubblica sta lentamente cominciando ad abbandonare concezioni stereotipate degli hacker, ed a dubitare dell’immagine negativa del fenomeno diffusa dai mass media.
Infatti è opportuno distinguere gli hacker dai cosiddetti “cracker”, una porzione minoritaria di questo mondo, dedita al crimine informatico.
Il Jargon File, una specie di dizionario di slang hacker, costantemente aggiornato e disponibile online, definisce gli hacker come esperti o entusiasti in qualunque campo: si può parlare di un hacker dell’astronomia, o di un carpentiere hacker, perché sono la passione per la sfida intellettuale, la creatività, la curiosità e lo studio approfondito di una tecnica o una disciplina che distinguono chi lavora in modo gioioso da chi si accontenta di imparare e fare il minimo indispensabile.

Una controcultura, un’etica del lavoro

L’apparente anarchia che caratterizza gli hacker come gruppo, può impedire di riconoscere l’effettiva organizzazione, seppur minima, di questo movimento sociale internazionale.
Ad esempio, l’esistenza di importanti club di hacker presuppone un certo tipo di unione e relazione tra i loro membri. Inoltre tra gli hacker esistono delle figure di spicco, dei “guru”, con i loro rispettivi seguaci.
La comunità degli hacker si configura come controcultura, in opposizione alla cultura dominante, proponendo un sistema alternativo di ruoli, valori, norme e credenze.
Gli hacker come movimento sociale, si fanno portatori di valori che costituiscono le fondamenta della loro ideologia, proponendo cambiamenti di atteggiamento nei confronti della libertà di informazione e per quanto riguarda la gestione della conoscenza.
Emblematico a questo riguardo è il cosiddetto modello “open source” di Linux (un sistema operativo per computer creato da hacker, come la maggior parte dei programmi che rendono possibile il funzionamento di Internet), che ha la sua peculiarità nel fatto che il codice sorgente è pubblico, e quindi accessibile a qualunque soggetto desideri apportarvi miglioramenti o modifiche personali.

Una delle sfide poste da questa controcultura, riguarda l’atteggiamento verso il lavoro. Per Himanen, l’etica del lavoro hacker esprime il rapporto passionale nei confronti del lavoro che si sta sviluppando in questa era dell’informazione e della conoscenza, e si contrappone all’etica del lavoro protestante, descritta nell’opera “L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo” di Max Weber (1904-1905).
Bisogna notare che l’etica protestante così intesa, si è presto emancipata dalla religione, per operare secondo leggi proprie, diventando quella che Weber definisce come una gabbia di ferro.
Secondo Weber l’idea del lavoro come dovere, a cui si è chiamati a rispondere con responsabilità ed abnegazione, è alla base dell’etica sociale della cultura del capitalismo, per cui il fine del lavoro è intrinseco nella fatica che si compie a svolgerlo.
L’unico precursore storico dell’etica protestante si ritrova nel monastero. Dovere del monaco è eseguire il proprio lavoro, con cieca obbedienza e dedizione assoluta, qualunque sia la natura del lavoro che si debba svolgere.
La regola monastica benedettina sostiene l’irrilevanza della natura del lavoro che si compie, in quanto lo scopo più alto del lavoro non consta nel risultato materiale che da questo è prodotto, quanto nel rendere umile lo spirito di chi lavora.
L’eredità del monastero è ancora forte e presente nella società contemporanea.
Il considerare il lavoro come nucleo della propria vita, raggiungendo gli eccessi che portano a trascurare altri aspetti della vita, come gli affetti familiari, è uno dei sintomi più facilmente riconoscibili nel nostro mondo.
La dedizione al proprio lavoro può diventare patologica, e provocare un sentimento di colpa qualora non si possa adempiere al proprio dovere anche per un motivo indipendenti dalla propria volontà, come può essere la malattia.

Da questo punto di vista, la sfida degli hacker verso l’etica protestante sta nello scassinare la “gabbia di ferro” descritta da Weber, per proporre un lavoro che non sia esclusivamente labor.

Il paradiso è un laboratorio?

L’ideologia protestante pone quindi il lavoro al centro della vita. E’ interessante notare come prima della Riforma, il concetto di labor fosse connotato molto negativamente: possiamo ritrovare numerosi esempi sia nei testi sacri (a cominciare dalla cacciata dall’Eden), che in opere come la Divina Commedia.
Nell’analisi di Himanen, prima della Riforma il lavoro viene visto come il Venerdì della vita, mentre scopo della vita sarebbe la Domenica, il riposo, nella vita ultraterrena. L’inferno è il luogo dove i dannati sono costretti a lavorare incessantemente, alienati in una fatica senza senso che ricorda i lavori forzati delle prigioni (che non a caso rispondono ad esigenze di “redenzione” del criminale).

Si potrebbe pensare che quella l’etica hacker si ponga in una posizione intermedia, tra il giorno lavorativo e quello feriale, oppure consista in una rottura totale di questo schema, in un’ottica fuzzy, in cui il lavoro possa sfumare nel non-lavoro, nell’hobby o nel gioco.

La Cattedrale e il Bazar, l’Accademia e il Monastero

Eric Raymond, nel suo noto articolo “La Cattedrale e il Bazar”, ha definito la differenza tra il modello aperto di Linux e quello chiuso adottato dalla maggioranza delle aziende, paragonandoli al bazar ed alla cattedrale.
La cattedrale per Raymond è un modello in cui un progetto viene realizzato a porte chiuse da un piccolo gruppo di persone, che presentano al pubblico il risultato finito.
Nel modello “bazar”, la progettazione è aperta a tutti, ed ogni idea è presentata e testata dal principio, rendendo possibile l’utilizzo di approcci differenti per un ripensamento del progetto dalle sue fondamenta.

Pekka Himanen, pur apprezzando l’allegoria di Raymond, preferisce paragonare il modello open source all’accademia piuttosto che al bazar. Secondo Himanen, anche la comunità scientifica rilascia i propri lavori in modo “aperto”, perché vengano discussi, verificati e sviluppati in modo critico dall’intera comunità. La loro ricerca è basata sull’idea di un processo aperto di auto-correzione. Questo modello secondo Merton, è un’eredità dell’Accademia di Platone.
Il modello open source degli hacker, similarmente al modello accademico, è efficace in quanto gli hacker nel loro lavoro realizzano le proprie passioni, e come gli scienziati, sono motivati dal riconoscimento pubblico da parte dei loro pari (peer recognition).
L’etica accademica prevede che a partire da un problema che i ricercatori ritengono interessante, la soluzione prodotta ed i risultati di una ricerca possano essere criticati, utilizzati e sviluppati da chiunque. E’ importante anche che i passaggi logici ed empirici che hanno prodotto quel risultato, siano resi espliciti e disponibili.

La cattedrale di Raymond, simbolo del modello chiuso delle imprese, diventa per Himanen il modello del monastero. In un’azienda strutturata secondo il modello del monastero, l’autorità stabilisce la meta da raggiungere, e sceglie un gruppo chiuso di persone per raggiungerla, impedendo la deviazione verso un’attività più libera e creativa.
La presenza di strutture di questo tipo, in cui è scoraggiata la curiosità e l’attitudine critica verso il problema imposto dalla gerarchia, si è rivelata storicamente un ostacolo per il progresso scientifico.

Il modello di apprendimento

I punti di forza del modello di sviluppo open source si ripresentano anche nel modello di apprendimento hacker.
La maggior parte degli hacker impara a programmare seguendo la propria passione, in modo informale, sfruttando varie fonti per cercare la soluzione di un “problema interessante”, e quindi sottomettendo la soluzione a verifica.
I frequenti casi di ragazzini che, spinti dalla loro passione, padroneggiano complessi linguaggi di programmazione, a fronte di una massa di coetanei che galleggia nei ritmi del sistema di istruzione scolastico tradizionale, pone un’interessante questione sul versante didattico e pedagogico, che senza farci perdere di vista l’importanza di un’istruzione che sia completa ed adatta all’età di un soggetto, sottolinea l’importanza della passione nel processo di apprendimento.

Una delle peculiarità più interessanti del modello di apprendimento hacker, è forse dovuto al controverso effetto di “egualizzazione” introdotto nella comunicazione dai nuovi media. Infatti il ragazzino che, con spirito hacker, si avventura nell’apprendimento di un linguaggio di programmazione, non esita a chiedere aiuto ed a porre domande sulle aree in cui non ha ancora acquisito sufficiente conoscenza.
Per comprendere bene l’importanza di questo aspetto, può servire immaginare una tipica situazione di lezione nella scuola tradizionale, dove spesso l’interattività tra docente e alunni è molto ridotta, e chi apprende lo fa con un atteggiamento di ricezione passiva ed acritica.

Analizzare i fattori che producono questa situazione certamente disfunzionale per l’apprendimento non è tra gli scopi di questo contributo, mentre è interessante notare che in assenza di una situazione estremamente strutturata e regolamentata come quella della scuola, e grazie ad un nuovo scenario caratterizzato da un’abbondanza di informazioni e conoscenza reperibili e disponibili come mai è stato nella storia dell’uomo, si afferma un modello di apprendimento efficace e soddisfacente per chi insegna e chi apprende.
Infatti uno dei punti di forza di questo modello di apprendimento è che normalmente l’apprendimento di un hacker è di insegnamento per gli altri. Spesso studiando il codice sorgente di un programma, un hacker apporta modifiche utili ed interessanti per chi può imparare dal suo lavoro. Quando un hacker cerca informazioni online, spesso aggiunge il proprio punto di vista sul problema, condividendo la propria esperienza. Gli studenti non sono considerati “bersagli per la trasmissione della conoscenza”, ma compagni di apprendimento. Nell’Accademia di Platone l’obiettivo principale dell’insegnamento era rinforzare nello studente l’abilità di porsi delle domande, sviluppare linee di pensiero e presentare osservazioni critiche.
Questo modello aperto di apprendimento degli hacker, che Himanen chiama “Net Academy”, si evolve continuamente, alimentato dagli stessi hacker, che passano continuamente dalla posizione di insegnante a quella di allievo, in un modello che sempre più ricorda l’Accademia di Platone.
Per Himanen chi ha appena imparato qualcosa a proposito di un argomento, a cui ha dedicato uno studio approfondito ed appassionato, riesce ad aiutare meglio il neofita, immedesimandosi nei suoi problemi con più immediatezza di quanto non possa farlo un esperto del campo, in qualche modo disabituato ad assumere il punto di vista del novizio. Mentre l’esperto può trovare noioso l’insegnamento dei rudimenti, lo studente può provare piacere nell’insegnarli, nel mostrare la sua abilità, e nell’assumere il ruolo dell’insegnante.

Bibliografia

Pekka Himanen, Linus Torvalds, Manuel Castells
"The Hacker Ethic and the Spirit of the Information Age" (Random House, 2001)
(tr.it. di Fabio Zucchella, L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione, Feltrinelli, Milano, 2001)
un estratto dell'opera è consultabile all'indirizzo www.hackerethic.org/book.html

Federica Guerrini
"Gli hackers come controcultura tra identità e rappresentazione"
L'opera è consultabile agli indirizzi:
patonz.interfree.it/HackerComeControcultura.htm
www.capitanoultimo.it/d/hackers/controcultura.htm
web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/gianfrancomj/filesvari/TesinaHack.htm
www.dvara.net/HK/hackcontrocultura.asp

Ramon Alcoberro, Enric Faura
"Etica aplicada en internet: estudio de la ética hacker"
Il paper è consultabile a questo indirizzo:
cibersociedad.rediris.es/congreso/comms/g11alco-faura.htm

Eric Raymond
"The Jargon File" (pubblicato nel 1996 con il titolo "The New Hacker's Dictionary")
la versione 4.3.3 è all'indirizzo catb.org/jargon/

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